LISA Pathfinder in volo

LISA_Pathfinder_logoOggi 3 Dicembre, a pochi giorni dal centenario della pubblicazione di uno degli articoli scientifici più famosi nella storia dell’Uomo (quello sulla Relatività Generale), è stato lanciato con successo il satellite LISA Pathfinder, un avanzatissimo dimostratore tecnologico per il più ambizioso LISA (Laser Interferometer Space Antenna). Purtroppo quest’ultimo non è più stato confermato (è stato sostituito dal futuro eLISA), ma la tecnologia sopravvive nel Pathfinder (esploratore, pioniere), una tecnologia con un grande contributo italiano, come è italiano il lanciatore Vega, alla sua sesta missione.

In questo articolo il nostro socio Stefano Scutti, che ha avuto il privilegio di lavorare per un po’ di tempo alla fase di integrazione e collaudo del sensore di LISA Pathfinder, ci racconta del veicolo e della sua missione.


LISA Pathfinder e la ricerca delle onde gravitazionali

di Stefano Scutti, MBIS

Una coincidenza curiosa quella che riguarda il sesto lancio del vettore europeo Vega, con a bordo LISA Pathfinder: a pochi giorni di distanza dalla celebrazione del centenario della teoria della relatività generale formulata da Albert Einstein, una ambiziosa missione europea tenterà proprio di cominciare ad investigare un fenomeno previsto da tale teoria, quello delle onde gravitazionali, che gli scienziati non sono ancora riusciti a rilevare in modo diretto, pur avendo tentato moltissimi esperimenti sin dagli anni cinquanta del XX secolo.

Le onde gravitazionali sono increspature dello spazio-tempo generate da masse accelerate: la teoria della relatività generale di Einstein afferma che la gravità è legata alla curvatura dello spazio-tempo, causata a sua volta dalla presenza di una massa. Quando tale massa si muove, la relativa curvatura cambia e, sotto le giuste condizioni, quando essa accelera i cambiamenti in questa curvatura iniziano a propagarsi alla velocità della luce come onde, chiamate appunto gravitazionali proprio perché legate al concetto di gravità. L’analogia più calzante si può trovare con le onde elettromagnetiche, generate da cariche elettriche accelerate, ma che a differenza di queste, che si propagano nello spazio-tempo, esse sono oscillazioni del tessuto costitutivo dello spazio-tempo stesso, e interagiscono molto debolmente con la materia, non risentendo praticamente per nulla di assorbimenti, scattering (diffusione) e dispersioni. Inoltre la frequenza caratteristica di queste onde dovrebbe essere compresa in un campo tra i 10-18 Hz e i 104 Hz, quindi inferiore rispetto alle frequenze dell’intero spettro elettromagnetico.

Tali differenze costituiscono un indizio dell’importanza che potrebbero avere le onde gravitazionali se riuscissimo a rilevarle: le informazioni trasportate sarebbero completive (il fisico Kip Thorne parla di “ortogonalità di informazioni”) rispetto a quelle delle onde elettromagnetiche, come se potessimo completare la “visione” che abbiamo già di una sorgente con i “suoni” da essa emessi. O potremmo addirittura scoprire sorgenti che con le sole onde elettromagnetiche non riusciamo a vedere. Un modo completamente nuovo di osservare i fenomeni dell’Universo.

Il passaggio di un’onda gravitazionale deforma lo spazio-tempo, e di conseguenza le distanze tra oggetti liberi nello spazio incontrati dall’onda cresce e decresce alla sua frequenza; le dimensioni caratteristiche di questo fenomeno decrescono con la distanza dalla sorgente delle onde.

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Figura 1 – L’accuratezza dei sensori di LISA ed eLISA. (Credits: WikiMedia)

E’ questo uno dei motivi per cui tali onde sono state finora così difficili da rilevare; infatti, non essendo possibile utilizzare masse da laboratorio poiché l’emissione sarebbe troppo piccola e le onde debolissime, bisogna cercare l’emissione di sorgenti con masse enormemente maggiori, come ad esempio stelle binarie, stelle di neutroni, supernovae, buchi neri. Data la distanza della Terra da tali oggetti, gli effetti avvertiti sarebbero piccolissimi, con un parametro caratteristico di ampiezza dell’onda (denominato h e definito brutalmente come la deformazione indotta dal passaggio dell’onda) pari a 10-20. Un altro fattore che disturba la rilevazione delle onde gravitazionali è la banda di frequenze, molto disturbata sulla superficie terrestre.

Per questo motivo un rilevatore di onde gravitazionali che lavori nello spazio potrebbe essere il passo decisivo per trovare finalmente un’evidenza della loro esistenza. L’idea per ottenere uno strumento del genere è quella di avere due corpi in caduta libera perfetta per osservarne gli spostamenti relativi, che in quel caso sarebbero dovuti esclusivamente agli effetti del passaggio di eventuali onde gravitazionali. Il problema è che anche nello Spazio non è semplice ottenere un sistema con corpi in perfetta caduta libera ed è proprio per testare le tecnologie atte ad ottenere un sistema del genere che nasce il concetto della missione di LISA Pathfinder (l’acronimo LISA sta per Laser Interferometer Space Antenna).

LISA Pathfinder è a tutti gli effetti un precursore e dimostratore tecnologico, che non si occuperà di rilevare direttamente le onde gravitazionali ma che permetterà di aprire la via per il vero osservatorio spaziale di onde gravitazionali chiamato eLISA e previsto per gli anni Trenta di questo secolo. La missione è guidata dall’ESA (Agenzia Spaziale Europea), con una partecipazione della NASA per quanto riguarda un sottosistema.

L’obiettivo che si vuole raggiungere tecnologicamente è quello di ridurre al massimo le influenze esterne su due masse di test, e misurarne il moto relativo con una accuratezza senza precedenti. Per fare ciò, a differenza della maggior parte delle altre missioni scientifiche, l’esperimento non è costituito soltanto dal payload principale, ma dall’intero satellite.

Per ricreare la caduta libera con l’estrema precisione desiderata, è necessario eliminare tutte le forze che non abbiano origine dalla gravità, come la pressione di radiazione solare o anche il semplice contatto delle masse con il resto del veicolo, facendo in modo che le forze magnetiche, elettriche e termiche interne siano minimizzate, così come eventuali variazioni di attrazione gravitazionale tra il veicolo stesso e le masse.

La “quiete a tutti i costi” sarà ottenuta innanzitutto grazie alla particolare orbita in cui LISA andrà ad operare, attorno al punto lagrangiano L1 Terra – Sole (1.5 milioni di km dalla Terra, sull’asse Terra – Sole): da definizione è un punto di quiete, nel quale la forza di attrazione gravitazionale della Terra e del Sole si bilanciano al punto che il periodo orbitale di un oggetto in L1 diviene uguale a quello della Terra. Il Sole da qui non è mai eclissato né dalla Terra né dalla Luna, permettendo così di avere una stabilità termica (non ci sono cicli giorno-notte) e di avere pannelli solari sempre in funzione. L’orbita di LISA Pathfinder sarà un’ellisse di 500’000 km x 800’000 km attorno ad L1, e il veicolo vi arriverà tramite una serie di sei manovre di innalzamento dell’apogeo ottenuti tramite il proprio sistema di propulsione, dopo esser stata lanciato utilizzando un vettore Vega in un’orbita terrestre fortemente ellittica.

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Figura 2 – Il profilo di missione di LISA fino all’arrivo nell’orbita operativa. (Credits: ESA)

Il satellite è macroscopicamente costituito da due elementi principali, lo Science Module e il Propulsion Module.

Lo Science Module è la struttura che contiene i sottosistemi che permetteranno lo svolgimento dell’esperimento e quelli di supporto alle operazioni. Sui pannelli esterni sono alloggiati gli star-tracker, l’antenna e una parte del sistema micropropulsivo, di cui si parlerà più approfonditamente in seguito. All’interno dello Science Module un cilindro centrale contiene ed isola il payload principale, il Lisa Technology Package.

Lo Science Module è chiuso nella parte superiore dal Solar Array, che ha la doppia funzione di fornire energia alla strumentazione tramite le celle solari, e di agire come uno scudo termico; questo è possibile mantenendolo sempre puntato verso il Sole, sfruttando i tre sensori di sole ivi installati.

Il Propulsion Module servirà a portare il veicolo a destinazione alzando gradualmente l’apogeo dell’orbita, e verrà separato ed abbandonato dopo aver raggiunto l’orbita finale.

Il cuore pulsante di LISA Pathfinder è costituito dal LTP (LISA Technology Package) il cui compito principale è quello di ospitare le test mass e di raccogliere le informazioni sulla loro posizione per poi fornirle al DFACS (Drag-Free and Attitude Control System).

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(Credits: ESA)

Il LTP è costituito dall’ISS (Inertial Sensor Subsystem) e da un banco ottico che permette di simulare in soli 38 cm la distanza ideale che le due test mass dovrebbero avere per ottenere il livello di sensibilità richiesto all’esperimento di interferometria: il sistema dovrà essere in grado di apprezzare variazioni nell’ordine di 10-12 m nella distanza relativa tra le test mass; questa misura sarà effettuata tramite la comparazione di due fasci laser, uno riflesso dalle masse di test, l’altro interno al banco. Nella versione eLISA tale distanza tra le test mass sarà reale ed ottenuta ponendo tre veicoli identici in formazione a triangolo , distanti l’un l’altro circa 5 milioni di chilometri, a metà strada tra il Sole e la Terra.

Guardando nel dettaglio l’Inertial Sensor Subsystem, esso è costituito da:

  • I due sensori inerziali, chiamati ISH (Inertial Sensor Heads);
  • La parte di equipaggiamento elettronico, che ha il compito di restituire le letture dei sensori sulle test mass (FEE, Front-End Electronics), di attuare il meccanismo che si occupa del rilascio e posizionamento delle test mass (CCUCaging Control Unit) e le lampade UV per la scarica periodica delle masse (ULUUV Light Lamp Unit).
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Figura 3 – Lisa Technology Package: le ISH sono agli estremi, collegate tra loro dal banco ottico per l’interferometria. (Credits: ESA)

I sensori inerziali (ISH) svolgono la fondamentale funzione di tenere le test mass sospese ed isolate da tutte le forze esterne tranne la gravità, nonché di misurarne gli spostamenti e, fatto non trascurabile, di tenere immobili le due masse al momento del lancio. Si tratta dunque del sottosistema estremamente critico per la buona riuscita della missione: ciò ha portato ad una relativa fase di assemblaggio ed integrazione insidiosa in virtù dell’estrema precisione meccanica richiesta nell’allineamento dei componenti, con tolleranze lineari sotto 10 µm e angolari sotto i 50 µradianti.

Scendendo ancor più nel particolare, ogni sensore è costituito dai seguenti sottoassiemi (visualizzati in Figura 4):

  • La struttura cilindrica esterna (VE, Vacuum Enclosure)
  • Le masse di test (TMTest Mass)
  • La scatola con i sensori e gli elettrodi (NEHNew Electrode Housing)
  • Il meccanismo che gestisce il posizionamento e rilascio delle masse (CMCaging Mechanism)
  • I feed-through per le fibre ottiche, facenti parte del sistema di lampade UV (ISUK)
  • I termistori, gli heater e la magnetic coil (parti integranti del DDSData and Diagnostic Subsystem).
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Figura 4 – Interno dettagliato del ISH con i suoi sottosistemi. (Credits: RUAG and CGS)

La struttura del sensore (VE) è un cilindro di lega di Titanio, in grado di garantire una pressione interna di 10-5 Pa durante le fasi scientifiche operative. Comprende anche un oblò per permettere il passaggio del fascio laser.

Le masse di test costituiscono gli elementi in caduta libera, e agiscono come specchi per la misura interferometrica del banco. Sono cubi di 46mm di lato, realizzati in una lega di oro-platino con rivestimento d’oro estremamente riflettivo; per questo motivo il requisito di pulizia e non contaminazione ha richiesto l’integrazione del sensore in una camera pulita di classe 100.

Il NEH è l’alloggiamento entro il quale sono rinchiuse le TM, ed è costituito da sensori in molibdeno che permettono di monitorare la posizione delle test mass in tre dimensioni, sia durante il posizionamento che durante l’effettiva fase di operazione. Tali sensori misurano differenze di capacità dell’ordine dei femtofarad, e sono utilizzati in contro-reazione con il sistema di micropropulsione per permettere al veicolo di rimanere centrato sulle masse.

Il CM, meccanismo di bloccaggio ed attuazione delle masse di test, è anch’esso composto di due differenti sottomeccanismi, il CVM (Caging and Venting Mechanism) e il GPRM (Grabbing, Positioning and Release Mechanism).

Il primo (CVM) è un meccanismo one-shot (cioè usato solo una volta), che ha il compito di tenere bloccate le test mass durante la fase di lancio, e di aprire la valvola del ISH una volta a destinazione, esponendo le masse al vuoto dello spazio. Il sistema è costituito da 8 “dita” che sostengono le masse dai vertici, tenute in tensione da molle precaricate e attivabili da un attuatore a paraffina. Il sistema è molto delicato, poiché gli è richiesto di tenere le masse ferme mentre sono soggette ad una forza di circa 2000 N durante il lancio.

Il secondo sottosistema (GPRM), è progettato per afferrare le test mass in qualsiasi posizione, posizionarle nel centro esatto della NEH e rilasciarle in condizioni di caduta libera. Si basa essenzialmente su due grosse “dita” (una in alto e l’altra in basso) che muovendosi all’unisono consentono di centrare perfettamente la massa, con una tolleranza di circa 60 micron ed una velocità di rilascio di 5 micron al secondo; il posizionamento laterale invece dipende soltanto da un corretto allineamento del GPRM con la NEH, costituendo una ennesima fase critica durante l’integrazione.

Uno sguardo più approfondito, per il suo ruolo fondamentale al pari del LTP, lo merita il sistema propulsivo e di controllo d’assetto, parte integrante dell’intero esperimento.

Il Sistema di controllo dell’assetto DFACS è formato dai sensori inerziali, da un sistema di micropropulsione (chiamato DFPSDrag Free Propulsion System) e da un ciclo di controllo che permette di controllare tale sistema. L’importanza di tale sistema, si diceva in precedenza, è quella di contrastare le forze e i momenti di disturbo agenti sul veicolo, per mantenere le condizioni di caduta libera delle test mass.

Il sistema di micropropulsione, consistente in propulsori a gas freddo (azoto) installati su tre pannelli laterali dello Science Module, deve agire continuamente e dinamicamente, fornendo una spinta continua tra 1 µN e 100 µN con un tempo di risposta più veloce di 10 Hz, la frequenza di comando del sistema di controllo.

Oltre a ciò, il DFPS si occuperà di tutte le funzioni di controllo orbitale e di assetto dopo che il Propulsion Module sarà separato dal Science Module alla fine della fase di trasferimento in L1.

Il contributo della NASA alla missione è il DRS (Disturbance Reduction System), un esperimento che servirà per validare ulteriori tecnologie utili per un futuro veicolo spaziale drag-free (libero da attrito). Funzionerà come esperimento separato, ma utilizzando, per funzionare, i dati di LTP come sensore gravitazionale. Anche questo sottosistema è dotato di micropropulsori, ma differenti da quelli principali, essendo basati su gocce ionizzate di una soluzione colloidale accelerate in un campo elettrico, e controllate da un computer separato dedicato. Questo permette di ottenere un propulsore con un controllo continuo della spinta generata,

Questi sistemi avanzati di controllo dell’assetto potrebbero far pensare ad un parallelo con quello di GOCE (Gravity field and steady-state Ocean Circulation Explorer), il satellite ESA del programma Earth Explorer che dal 2009 al 2013 si è occupato di mappare in estremo dettaglio il campo gravitazionale terrestre, volando (e il termine non è casuale) su un’orbita LEO bassissima, intorno ai 235 km di quota. L’obiettivo era quello di far sentire il più possibile al satellite l’effetto del campo di gravità, e per questo motivo tutto il veicolo costituiva un singolo strumento di misura. Il payload principale, ovvero EGG (Electrostatic Gravity Gradiometer), era 100 volte più sensibile di qualunque altro strumento simile mai volato prima nello spazio, e tale precisione spinta richiedeva che i sei accelerometri che ne formavano il cuore fossero mantenuti in caduta libera quasi perfetta nonché in un regime di temperatura stabile al milliKelvin. Per fare ciò il satellite aveva una forma aerodinamica per minimizzare i disturbi meccanici dovuto all’interazione aerodinamica con le tracce di atmosfera, un sistema di controllo termico molto preciso separato dedicato per EGG, e soprattutto un sistema di controllo di assetto che sfruttava proprio il payload come sensore, come visto nel DRS. Ma a differenza dei due di LISA, tale sistema di controllo possedeva dei propulsori a ioni, capaci di fornire automaticamente e in tempo reale una spinta da 1 a 20 µN, a compensazione di attrito e disturbi.

A parte DRS, LISA è una missione totalmente europea con Airbus Defense & Space come Prime Contractor, e che ha coinvolto, nei 14 anni della sua realizzazione più di 40 aziende di 14 paesi europei. Tra questi l’Italia ha fornito un contributo determinante poiché esso ha interessato sia la parte scientifica, sia la parte di realizzazione del satellite.

Uno dei Principal Investigator dello team scientifico di LISA è il Prof. Stefano Vitale dell’Università di Trento, Principal Investigator anche del LTP, il cuore tecnologico della missione. Al suo team si deve anche l’idea dei sensori inerziali ISH, realizzati proprio in Italia da OHB-CGS Compagnia Generale per lo Spazio (ora OHB) di Milano. Sempre a CGS si deve il progetto e la realizzazione della Electrode Housing del ISH, mentre Thales Alenia Space Italia si è occupata dell’unità di controllo del Caging Mechanism (nella sede di Gorgonzola, Milano) e delle Test Mass, compreso il complesso processo di finitura riflettiva delle superfici (sede di L’Aquila).

Per quanto riguarda il satellite, sempre Thales Alenia Space Italia ha fornito il Trasponder per la parte TT&C (Telemetry, Tracking and Control) in banda X, mentre SelexES (già Selex Galileo) ha fornito il fondamentale sistema di micro-thrusters a gas freddo per l’assetto, i Sensori Solari per la guida e la navigazione (entrambi concepiti e realizzati nella sede di Campi Bisenzio, Firenze) e il Pannello Solare posto sullo Science Module (sede di Nerviano).